Norma e Mafalda
Cuori senza frontiere è un film girato in un angolo d’Italia. E’ il 1949 ed è la stagione del neorealismo. C’è stata la guerra e la pace è fragile. A dimostrarlo ci sono fantasmi, ma anche i vincitori e gli sconfitti. Volti di uomini e donne che, in un paesino del Carso – dove il film
Tutta la vita in un barattolo
Wonder Woman ci è descritta come una principessa amazzone, la guerriera figlia di Zeus e Ippolita. Secondo fonti autorevoli avrebbe 5000 anni, ma la sua tenacia non si è persa nei secoli, così come il suo desiderio di combattere Ares – che poi dovrebbe essere suo fratello – responsabile delle guerre e di tutti i mali del mondo.
Lasciati al buio
“Please, sir, I want some more” Ogni tanto ritrovo sulla mia strada Oliver Twist, e queste sono le sue parole. Quando le pronuncio, nella mia classe, solitamente mi prendo il tempo per una pausa. Non lunga, ma sufficiente per lasciare ai miei studenti il tempo di cogliere il mondo che Charles Dickens tentava di rappresentare grazie a quella singola frase. “Ne voglio un po’ di più”, dice il bambino Oliver, rivolgendosi al sagrestano e riferendosi alla zuppa fumante, ancora abbondante, presente nel pentolone.
Quando un libro salva l’anima
B. è seduta nella sua mansarda e attende che arrivi uno sbuffo di calore dal radiatore, che sembra non funzionare. Forse a causa del gelo crescente di quest’inverno, stasera si è rifugiata in un silenzio più assordante del solito. E’ sufficiente un attimo, perché i miei occhi stanchi e distratti ritrovino B. accanto alla sua libreria con un volume in mano. Il calore continua a non arrivare, ma è evidente che lei non se ne cura più. Ha assunto un colore diverso in viso, gli occhi si muovono vivaci e il sangue sembra scorrere di nuovo nelle sue vene.
Le voci dei Limmari
Virginia e Pia camminano l’una accanto all’altra. In questa foto in bianco e nero sono ritratte mentre partecipano al primo Presepe vivente di Rivisondoli, paese che in inverno si congiunge ai vicini comuni di Roccaraso e Pescocostanzo in un triangolo bianco. Creato dalla neve che cade abbondante su questo altopiano, noto ad altrettanto noti vacanzieri che affollano piste da sci battute ogni inverno.
Chiamami con il mio nome
Ingrid Bergman si chiama Irene nel film che mi torna in mente. E’ una donna borghese fortunata ad avere una vita agiata nella società italiana del dopoguerra; quella dove le ferite del conflitto sanguinano ancora, dove il comunismo da un lato ammalia e dall’altro minaccia. Vive a Roma, nell’Europa del ‘51 che ha scoperto un mondo a stelle e strisce completamente diverso dal continente ancora in rovina.
La lezione di Pedro
A Malta c’è un negozio particolare. Più che il suo proprietario, il signor Dominic Anastasi parla e lavora come se fosse il custode di una fortezza che si può visitare, ma non espugnare. Dominic è il custode geloso del suo tesoro nell’isola in mezzo al Mediterraneo, dove nei fine settimana del mese di aprile centinaia di appassionati si radunano per le strade al grido – onnipresente in tutte le lingue – “ce l’ho, mi manca”.
Cara gente d’Abruzzo
Mia nonna non si fermava mai: qualsiasi cosa doveva prendere forma sotto le sue mani. Grazie ad una foto che le scattai istintivamente anni fa, posso rivederla in ogni momento sfiorare la chitarra con la sfoglia per poi riprendere il lavoro con forza e vigore. Instancabile, all season, d’inverno come d’estate. Ricordo ancora il movimento delle sue mani: amavo fissarle perché mi dimostravano quanto avesse lavorato, quanto avesse dato a chi l’aveva conosciuta.
Meraviglie dall’isola che c’è
Piero Ciampi sosteneva che una città può diventare un’isola, capace di raccogliere il mondo intero. Questa frase tenta di riassumere una lezione domenicale appresa per caso in un programma televisivo. Ciampi era cantautore che “cantava” e amava gli ultimi, definizione che non abbraccia necessariamente i soliti invisibili, coloro che tentano di sopravvivere nelle sterminate periferie di una città da terzo mondo.
Tutti i gol del Presidente
Zvonimir Boban non riesce a trattenere una risata, che tradisce ancora un pizzico di incredulità di fronte a qualcosa che difficilmente dimenticherà. E’ un giocatore del Milan da qualche anno, un protagonista assoluto ogni volta che scende in campo. Eppure una volta anche lui è stato – per pochi, interminabili secondi – uno spettatore qualsiasi. Proprio come il pubblico sugli spalti, come l’arbitro, come i giocatori del Verona, come me: tutti estasiati dalla cavalcata di George Weah che nella prima giornata di campionato 1996/1997 segna il 3-1 smarcando gli avversari tramortiti al suo cospetto.