Capitani coraggiosi

L’America è ridotta a un mucchio di caselle che a volte si tingono di blu e altre volte di rosso. E’ la visione di una notte di elezioni, dove a rincorrersi sono due signori, che al di là delle indiscutibili differenze, restano aggrappati alla visione di un paese in cui magicamente si avverano tutti i sogni e tutte le speranze dell’umanità intera. Joe vs Donald: cronaca di una lotta all’ultimo voto tra due uomini che i loro sogni li hanno realizzati e da un pezzo.

Già, perché gli “over” Joe Biden e Donald Trump si contendono il loro ultimo sogno possibile: quello di diventare – per il primo –  e restare – per il secondo – l’uomo più potente del mondo. Sono arrivati alla fine di una corsa incertissima e quindi, come era lecito aspettarsi, lo squillo delle trombe è arrivato proprio quando i commentatori avevano perso le parole –  e in realtà spompate da tempo.

La notizia è di quelle importanti: l’America ha scelto Joe. Innegabilmente l’altro, almeno per background e aspettative; stante a commenti e previsioni profondamente diverso da quel Donald dai capelli rossi che – a prescindere da personali antipatie e altrui lusinghe – ha rischiato di bissare un successo, clamoroso quanto il primo. Guardando più attentamente, di nuovo, quel paese ridotto dalle testate giornalistiche a una sorta di murales dai mattoncini blu e rossi – che a volte si accendono e altre volte si spengono – lo spettatore meno esperto come il sottoscritto intuisce quello che avrebbe dovuto capire da un pezzo:

L’America, patria delle cause democratiche, scopre che ha tremendamente bisogno di un capitano e non importa se i due sfidanti, da un lato Joe, dall’altro Donald, non abbiano più l’età per salire su un qualsiasi ring. Indossano infatti abiti eleganti al posto dei guantoni, indubbiamente al wrestling preferiscono il golf, da giovani si sono esaltati per John Wayne e non per gli Avengers.

Eppure, questi due uomini lottano come due leoni e uno di loro – Donald dai capelli rossi – non si arrende e minaccia ricorsi su ricorsi, trovando magari – come Sansone – le energie in quella chioma che sembra essere un corpo estraneo e indipendente.

Quindi, tirando le somme e banalizzando intenzionalmente, scopri che Joe e Donald hanno in comune la forza che leader più giovani non hanno. Non per nulla, sono stati capaci di richiamare al voto un alto numero di cittadini, come mai prima. Forse loro non lo sanno, ma questo duello che di romantico non ha proprio nulla, giunge proprio quando qualche politico più giovane – a questo punto della narrazione, davvero simile a un lillipuziano – evoca la divisione di un intero paese tra under “produttivi” e over 70 “improduttivi”

In tempi di pandemie globali, quando la parola movida sembra destinata al bando eterno, come se dovessimo vivere in una perenne quaresima medievale, simili odiose – pericolose – divisioni evocano selezioni all’ingresso che al posto dei locali notturni, aleggiano tragicamente sulle soglie di tutti gli ospedali e di tutte le cliniche del mondo.

Ci sto pensando da qualche giorno, da quando a pochi metri da casa mia una struttura sanitaria per anziani è diventata un “focolaio”. Passandoci accanto, rischia di concretizzarsi quello che era soltanto possibile immaginare dopo le mie distratte – ma qualche volta sentite– letture del signor Manzoni al liceo: l’ingiusta visione di un lazzaretto, recintato oltre mura tornate invalicabili.

Al tempo stesso, si materializza la percezione che porte e finestre di cliniche e ospedali di tutto il mondo si siano trasformate in nuove cortine di ferro, tanto inaccessibili quanto legittime, di fronte all’ennesima ambulanza che non arriva e al personale medico e ospedaliero che strenuamente combatte per non alzare bandiera bianca.

Solo allora, di fronte all’America contesa o al mondo diviso tra poteri e pandemie, mi avventuro finalmente alla ricerca di capitani coraggiosi nelle terze pagine dei giornali che ho ancora la fortuna di leggere. E, neanche a dirlo, li trovo anche – anzi, soprattutto – tra quegli “over” che per qualcuno andrebbero confinati a tempo indeterminato chissà dove, chissà con chi.

Già, non ci sono solo solo il signor Joe o il signor Donald, a non volersi arrendere. Sotto una finestra come tante, nei tanti ospedali di questo paese, apparentemente in grado di delimitare il mondo inaccessibile dal mondo accessibile, siede il signor Stefano Bozzini, classe 1939.

Qualcuno definisce questo alpino “uomo d’altri tempi”, e mai come in questo momento sono felice che esistano ancora uomini d’altri tempi. Perché malgrado non abbia ancora quarant’anni, non solo mi manca la forza di obiettare a simili definizioni, ma soprattutto, mi manca la capacità di aprire quelle finestre che permettono ai due mondi di “toccarsi” ancora.

Il signor Stefano, l’alpino che per amore della musica è stato ribattezzato il “Gianni Morandi degli alpini” suona la sua fisarmonica in una cittadina della provincia emiliana avvolta dalla foschia di novembre. Non ci sono tinte glamour e mancano gli effetti pirotecnici cui siamo assuefatti: per questo, la dedica che Stefano fa a Carla, la moglie che in questi giorni vive oltre quella cortina a causa del coronavirus, si insinua tra le pagine di un romanzo inimmaginabile soltanto un anno fa.

La tragedia ha il merito di restituire la luce ai giusti, che sono sempre operosi e quasi sempre indaffarati.

Quando ho visto il volto del signor Gianni “Berni” Bernardinello, panettiere di Milano – anche lui, ben oltre i settanta – ho immaginato immediatamente una vita all’interno della sua bottega. A impastare pane per una vita, del tutto inconsapevole che si tratta di un gesto nobile come pochi: forse è anche per quel rituale, che il signor “Berni”, la scorsa primavera non si è limitato a esporre, bensì a regalare i suoi prodotti

“Servitevi pure e pensate anche agli altri”, le uniche parole del Signor Berni ai clienti più disagiati. Un “prendete e mangiatene tutti” contestualizzato al 2020, sentito e sincero, purtroppo testamento di una vita che si è spenta quando quella che chiamano seconda ondata ha travolto eroi e giusti di singole comunità.

Come il signor Berni,  il cui unico sogno – a differenza di Joe o Donald – era quello di veder la sua via trasformarsi nella strada più bella di Milano. Un epilogo ingiusto è comunque responsabile di un’altra visione: quella di un mondo non soltanto diviso, ma anche umiliato e mutilato come non mai. Quando anche le storie di capitani coraggiosi sembrano vacillare, occorrono rinforzi per rischiarare gli orizzonti, ricordandoci che i colori esistono ancora.

In questo romanzo fiume post Covid, resiste l’esempio di Murielle Marcenac, la fiorista di Perpignan, che recentemente ha inondato di fiori il parcheggio riservato alle auto di medici e infermieri della sua città e della vicina Narbonne. Una terapia oltre la terapia, o forse

semplicemente una visione più ampia, che va oltre fasce a tinte rosse, gialle o arancioni. O mattoncini blu e mattoncini rossi di un complicatissimo puzzle.

Per orientarsi nella tempesta bisogna calarsi nei panni dei marinai che seguono i consigli e gli ordini degli unici capitani di cui abbiamo bisogno. Quelli coraggiosi, incapaci di abbandonare la nave, e che non esistono solo nei film o nei romanzi d’avventura.
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