Dal campo ai campi: storia e sfide di Gianluca Colavitto

Durante il nostro ultimo incontro, nell’ottobre del 2014, Gianluca Colavitto non era ancora sulla panchina della Vastese. Era in casa sua, nel cuore della campagna frentana, ad aspettarmi per un servizio fotografico concordato in pochi giorni. All’inizio tentennava, poi ho teso verso di lui un pallone nuovo di zecca e gli ho chiesto di palleggiare. Il pomeriggio è volato via, e in un baleno è arrivata una giornata di fine aprile.

E’ una giornata di primavera, ma a Vasto i sostenitori della propria squadra che milita in Eccellenza non l’hanno vissuta come tutte le altre.

E’ arrivata la promozione. Anzi la favola a lieto fine – come ha ricordato Silvio Laccetti nel suo ottimo articolo su zona locale – soltanto perché i sogni non vanno abbandonati quando spunta il sole. Il terreno fertile va coltivato, ci vuole tempo, ma ci vuole soprattutto tanto lavoro. Lui, Mister Colavitto, lo sa bene.

Ecco perché…

Ci sono le prime tinte rossastre, ma in ottobre la natura non è spoglia e l’uomo che ho di fronte ha un fisico ancora rigoglioso. Ha appena finito di lavorare – collabora con la moglie titolare di un’azienda agricola ndr – e appare straordinariamente energico. Ex avvocato – ma è stato anche operaio – Lanciano è la città dove vive insieme alla moglie Mariangela e ai tre figli Vittorio, Valeria e Alessandro.

Ma solo un attimo dopo rivedo gli spalti dello stadio Cinque Pini, quando i tifosi rossoneri sul finire degli anni novanta incitavano giocatori come Vitali, Arancio, Damiani. Oggi lo chiamo Gianluca, eppure non dimentico che in quegli anni battevo le mani al difensore Colavitto, arrivato nel capoluogo frentano quando la compagine rossonera milita ancora tra i dilettanti.

Venni a Lanciano ignorando che poi avrei scelto di vivere qui. Una sera andai a cena con il ds Di Battista, per parlare del mio avvenire. Il giorno dopo ero a pochi metri dal casello dell’autostrada, pronto a tornare in Campania: il presidente Angelucci mi contattò e tornai indietro. A quel presidente, a quella squadra e a Fabrizio Castori sono legato da bei ricordi, dalla stima, dai risultati raggiunti che la gente qui non ha dimenticato.

Il giocatore partenopeo è protagonista nella cavalcata verso la C2 nell’era Angelucci-Castori, è presente sul campo di Castelnuovo Garfagnana quando il club frentano conquista per la prima volta la Prima divisione. Sembrano lontani i campionati giocati ad Avellino, Castellamare di Stabia, Sassari. Eppure ad essere sempre protagonista è il ricordo dell’infanzia trascorsa nella sua Pozzuoli, quando il papà Vittorio lo incoraggia ad impegnarsi nello sport. A tredici anni Colavitto è campione regionale di boxe e taekwondo, eppure i sogni sono riposti altrove.

La squadra del rione è la Gescal, ma geograficamente ed emotivamente siamo troppo vicini a Napoli, dove negli anni ottanta – più del tanto osannato sole – splende l’astro di Diego Armando Maradona, giunto da un pianeta (ancora) sconosciuto e inesplorato. Gianluca sostiene con successo il provino ed entra nel settore giovanissimi del club partenopeo. Fortunatamente il primo mese passato ad Agnano – il campo di allenamento ndr – non è e non sarà l’ultimo. Arrivano il mitico borsone blu della Buitoni – ostentato sulla via di ritorno a casa – e il primo rimborso spese, per essere precisi “50000 lire ancora incorniciate in camera mia“.

Di tanto in tanto al campo di allenamento si presenta Maradona. Quando arriva il Pibe de Oro la partitella settimanale del giovedì è servita:

“Ci ho giocato contro, qualche volta insieme, ovviamente nelle amichevoli. Ma forse non volevi imparare a giocare come lui. Potevi ammirare il suo talento, ma comprenderlo era sicuramente più difficile”.

I suoi occhi tornano agli anni di adolescente, quelli da vivere e che in realtà si consumano con l’ansia dell’avvenire:

Ero a bordo campo quando nel 1987 il Napoli sfidò il Real Madrid e finì 1-1. Era il Real di Butragueño, Michel, Pardeza, Martín Vázquez e Sanchis; giocatori formidabili e carismatici.

Ma è ancora tempo di sudare e lavorare, grazie anche ad allenatori come Abbondanza e Morrone. Proprio quando su Napoli il sole argentino inizia a tramontare, parte per l’amata Sassari, ma l’anno successivo torna alle pendici del Vesuvio. A volerlo è la Juve Stabia del presidente Roberto Fiore, che lo sceglie al posto di un altro, un certo Fabio Cannavaro. Da ventenne si ritiene fortunato, a  quarant’anni Gianluca ammette:

“Ogni anno, a Natale, il presidente Fiore mi rinfaccia di avermi scelto – gli occhi brillano grazie a una risata sincera – ed io ripeto che abbiamo fatto un gran regalo a Cannavaro. Se fosse andato alla Juve Stabia al posto mio, la sua carriera sarebbe stata molto diversa”.

A soli trentun anni non se la sente di continuare l’attività agonistica perché i continui infortuni tollerati hanno la meglio. Non finisce però la sua vita, che è solo all’inizio. Si laurea in giurisprudenza, ma non ama fare l’avvocato.

Nel 2006 trova lavoro come operaio in un’azienda in Val Di Sangro. L’ex calciatore fa il turno di notte anche nella famosa notte di Berlino, quando l’Italia capitanata da Fabio Cannavaro – già, è proprio lui ad alzare la coppa – diventa campione del mondo per la quarta volta. Negli anni passati in fabbrica allena i ragazzi della Berretti. Spesso, dopo una nottata di lavoro, il sabato mattina l’ex calciatore è sul campo di Re Di Coppe, dove vive la vigilia svolgendo lavori di manutenzione e rendendo il campo praticabile in vista della partita.

Non è solo allenatore e la storia si ripete anche a Canistro, dove mostra ai suoi giocatori i filmati delle gare degli avversari di turno, puntualmente richiesti alle reti locali. Ma il mio interlocutore ritorna al presente continuamente, come se fosse consapevole che il suo passato può essere rivissuto solo in alcuni momenti. L’amore per il calcio resiste, ma al contempo cresce un’altra passione, che oggi è il suo lavoro: Forse non avrei scelto di restare qui, se non avessi amato cosi tanto vivere in campagna.

Quando è nei campi, dove lavora ogni giorno a stretto contatto con la moglie, Gianluca si sente appagato perché lavora con le mani. Libero perché svolge le proprie mansioni all’aperto e non in un capannone. Mi congedo parlando dell’avvenire, quindi il discorso cade sui suoi figli. Lui e sua moglie vogliono che crescano bene e che diventino presto indipendenti.

“A proposito – aggiungo – tuo figlio è ormai adolescente. Farà il calciatore?”

Nella vita ho preso tante decisioni e loro dovranno fare altrettanto, scegliendo per proprio conto, dimostrando di avere cuore e cervello.

Verrebbe da aggiungere che il mondo gira in modo strano. Talvolta proprio come o’pallone.

 

        Servizio fotografico a cura di Giancarlo Bomba. Tutti i diritti riservati
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